venerdì 10 agosto 2012

ERRARE PER LA VIA DEGLI DEI | Capitolo 3, dove infine i miracoli accadono


Menù della colazione: latte al cioccolato in brick e saccottini stritolati dallo zaino (variante per i più golosi: merendina kinder ai 5 cereali). Non è una ricetta che troverete su Real Time, ma ci dà sufficiente energia per rimetterci in cammino. Andrebbe precisato che Fillo non gradisce i dolci e fa colazione con il tonno in scatola, ma questa è un’altra storia.
Il sentiero, in effetti, finisce quasi subito. La luce del mattino ci svela che l’Osteria ha un rubinetto esterno e che lì accanto c’è addirittura una fontanella pubblica. Felici come bambini davanti a un giocattolo nuovo, ne approfittiamo per fare il pieno. Ma tutto ha una doppia faccia in questo cammino, e persino l’aiuto dell’acqua può non essere così trasparente come sembra: mentre saliamo sul monte Adone, ogni litro in più nei nostri zaini è una maledizione divina per le nostre schiene e per le nostre zampe.

Fa molto, molto caldo, e la salita è lunga, ripida e non molto ombreggiata. Ci tocca fermarci per diverse volte prima di arrivare sulla cima, ma infine eccoci qui. Apriamo il contenitore metallico saldato alla croce per firmare il quaderno di vetta. Facciamo una scoperta che ci lascia perplessi: a quanto pare non siamo gli unici pazzi che stanno compiendo questo cammino in agosto. Proprio stamattina, proprio qualche ora prima di noi, sono passate altre persone tra cui si distingue con certezza il nome di una certa Katia. Katia, sappi che in un modo o nell’altro riusciremo a raggiungerti!

L’obiettivo sarebbe pranzare a Monzuno, che il nostro libro indica circa a metà della tappa, ma dopo diversi chilometri di sali e scendi siamo ancora solo a Brento. Siamo stanchi e affamati e decidiamo di pranzare lì. Riusciamo persino a utilizzare un vero bagno, cosa che ci riempie di gioia.
Il pomeriggio è un lento, sfibrante, drammatico trascinarsi verso Monzuno, attraverso pochi sentieri e molti, troppi, infiniti chilometri di asfalto incandescente. Dopo una curva, c’è sempre un’altra curva, e Monzuno non si vede mai. Mai.
Quando finalmente raggiungiamo le prime case, le mie gambe non ascoltano più il cervello già da ore ed è ormai pomeriggio inoltrato. Per la prima volta prendo in considerazione l’ipotesi di concludere qui la tappa. Troviamo un bar, facciamo fuori in un sorso tre estathe e chiediamo alla signora dietro il bancone di riempirci qualche bottiglia con l’acqua del rubinetto. Al contrario del barista del giorno prima, accetta molto volentieri e infila anche diversi cubetti di ghiaccio. Una benedizione. Il sole inizia a tramontare, non fa più così caldo. Un po’ di forze sono state ripristinate e siamo a metà tappa. Decidiamo di proseguire: se non arriviamo a Madonna dei Fornelli, dobbiamo almeno tentare di raggiungere Le Croci.

Iniziamo a risalire il monte. Il tramonto colora i campi e crea un’atmosfera che sarebbe splendida, se non fossimo troppo stanchi e preoccupati per osservarla. Ora è Izzo ad avere un momento di sconforto ma, salendo, individuiamo in lontananza quello che ci sembra un ripetitore sulla cima di un monte. Quello, secondo il libro, dovrebbe essere il punto da cui inizia una lenta discesa verso le Croci. Ci facciamo forza e proseguiamo.

Ben presto scopriamo con orrore che il ripetitore indicato da Wu Ming 2 si trova molto più in là. Non resta che camminare e camminare. Attraversiamo uno splendido castagneto proprio mentre il sole scompare dietro i profili delle montagne e finalmente raggiungiamo il maledetto ripetitore. Da qui, un’ampia strada sassosa dovrebbe portare – non riusciamo più a calcolare in quanto tempo - verso le Croci.
È quasi buio quando un’utilitaria sale dalla stradina. Io e Piccio la fermiamo per chiedere indicazioni. A bordo, un ragazzo e una ragazza che forse stavano cercando un posto romantico e isolato dove NON incontrare scocciatori come noi.
“Quanto manca alle Croci?” chiedo. “C’è un agriturismo? Qualcosa?” chiedo. “Siamo distrutti” dico, anche se non penso ci fosse bisogno di un sottotitolo per capirlo.
La ragazza sorride e ci dice che Le Croci è proprio qui, a meno di cinquecento metri, che purtroppo l’agriturismo è chiuso, ma che sua nonna, che abita proprio lì, ci avrebbe senza problemi lasciato accampare. “Ditele che vi manda Giulia” aggiunge mentre se ne vanno.

Non facciamo in tempo ad arrivare, che sua nonna è già uscita di casa e ci viene incontro (evidentemente Giulia ha fatto ancora di più: l’ha avvertita per telefono. Grazie infinite, Giulia!). “Ragazzi”, ci dice la signora “sedetevi qui fuori che vi porto da bere, poi vi dico dove vi potete accampare per stare tranquilli”. A noi sembra già un miracolo così, ma non è finita.
La signora insiste per metterci a sedere su un tavolo nel suo giardino. Materializza bottiglie di acqua e di birra fresche e senza aggiungere molto, ci porta gli avanzi di una grigliata di carne: costine, spiedini, salsiccia. Persino filetto di cervo. Insistiamo per pagare, ma lei non solo rifiuta: rincara la dose con fette di melone. 
Infine ci accompagna su un prato poco distante, dove vedo la mia prima stella cadente del Viaggio. Ci prepariamo in fretta per dormire e continuiamo a ringraziare Giulia e sua nonna anche nel silenzio dei nostri sacchi a pelo.

Non mi stupirei se domattina scoprissi che né Giulia, né sua nonna esistono per davvero, ma che in realtà siamo stati soccorsi dagli Spiriti del Viaggio e del Cammino.