venerdì 10 agosto 2012

ERRARE PER LA VIA DEGLI DEI | Capitolo 4, dove per poco non si incontra Katia e si dorme in Rulot


La terza tappa è indicata come la più breve sul nostro libro. Solo 17 chilometri contro gli oltre 20 delle prime due e i quasi 30 delle prossime. Noi, però, siamo in ritardo di circa un’ora di cammino, perché ci siamo fermati alle Croci e non a Madonna dei Fornelli. Quindi decidiamo di partire presto per cercare di recuperare. Ringraziata e salutata ancora la signora, ci incamminiamo rifiutando un caffè che davvero non ci sembra il caso di accettare. Siamo già in direzione della Toscana: questa tappa valica ufficialmente il confine, arrivando sino al mitico Passo della Futa.

Percorriamo col fresco un sentiero sassoso che attraversa un parco eolico – così viene definito – senza però alcuna pala eolica. Sul libro di Wu Ming 2 c’è parecchio per farsi una cultura su questo impianto (ma le pale c’erano ancora, al momento della pubblicazione del libro). 

Finito il sentiero ci aspetta una strada asfaltata che digrada sino a Madonna dei Fornelli. Da qui inizia realmente la tappa numero 3. È ancora molto presto, non c’è ancora caldissimo e ci sentiamo tutti piuttosto bene, a parte le vesciche che hanno già cominciato a mietere qualche vittima, e il ginocchio di Fillo (operato due volte) che comincia a dare i primi segni di allarme. Affrontiamo la salita verso il Monte dei Cucchi con una spinta insolita.
Da qui in poi rimaniamo in quota con saliscendi tollerabili, e ci capita persino di concederci un riposino, svegliati dalle vacche al pascolo, distanti da noi solo poche decine di metri.

In questa tappa - sicuramente la più bella sinora - si calpestano alcuni metri della cosiddetta strada romana. Cosiddetta perché l’attribuzione è complessa e incerta come solo in Italia può accadere: una di quelle faccende che ha visto l’entusiasmo e la passione genuina di due archeologi dilettanti scontrarsi contro il mondo Accademico.

Poi arriva il momento delle Banditacce, l’ultima vera salita della giornata, di certo la più lunga e difficile. Riusciamo ad arrivare in cima, ognuno con i suoi tempi. Improvvisiamo un pranzo e un sonnellino e verso le tre siamo di nuovo pronti per rimetterci in marcia. Proprio mentre ci prepariamo, veniamo sorpassati da due ragazzi e una ragazza, che avevamo intravisto accampati prima dell’ultima salita. Ci salutiamo, come è giusto fare tra chi cammina nei boschi. Nessuno lo dice, ma tutti immaginiamo di aver finalmente individuato Katia.

Da qui in poi si scende seguendo Traversa (che è già in Toscana), a pochi minuti di cammino dal passo della Futa. Arriviamo in paese alle cinque e non possiamo crederci. Le cinque? Ma come? Abbiamo sbagliato qualcosa? Come abbiamo fatto a fare così presto?

Perplessi cerchiamo l’albergo Jolanda, che Wu Ming 2 indica per la grande disponibilità verso i camminatori. Comincia a piovere. Una pioggia rinfrescante ma fastidiosa per chi deve dormire all’aperto. Ci viene in mente di chiedere all’albergatore una stanza, così forse potremo usare questa tappa come un momento di relax: lavarsi come si deve, usare un bagno decente, riposarsi bene prima del giorno seguente. Purtroppo è al completo, e così tutto il paese nel periodo di ferragosto. Ma non appena capisce che stiamo facendo la Via degli Dei ci consegna una chiave, senza dire molto. Sulla targhetta di plastica c’è scritto Rulot, proprio così, come si legge. “È sporca e ogni tanto ci tengo il cane” ci dice “ma è pur sempre un riparo dalla pioggia e dormite sicuri, perché è qui dietro nel mio giardino.”

Entriamo nella Rulot. È davvero in pessime condizioni  ma non è il caso di fare gli schizzinosi. Facciamo un gomitolo dei lenzuoli pieni di peli e li infiliamo in uno scaffale. Sui due materassi potremo mettere i nostri sacchi a pelo e dormire sul morbido e al riparo dalla pioggia. C’è posto solo per due di noi, agli altri toccherà la tenda, che abbiamo il permesso di montare proprio accanto. Stanotte decideremo il da farsi.

Ovviamente è il caso di cenare da Jolanda, e magari di scolare prima una birra per togliersi la sete e godersi finalmente una mezzoretta di riposo per noi e per i nostri muscoli sfiancati. La verità è che ci sentiamo un po' in colpa, sappiamo che la prossima tappa sarà lunga quasi 30 chilometri e una parte di noi vorrebbe continuare a camminare per avvantaggiarsi. Ma dopo l’offerta della Rulot, nessuno ha davvero più voglia di mettersi in cammino.

“Ma tu scrivi, mi ricordo quel tuo racconto su Dio dentro a un ovetto Kinder” mi dice Katia.
Lei e i suoi due amici hanno fatto un altro percorso (probabilmente hanno sbagliato strada, come del resto è già capitato più volte anche a noi) e sono arrivati in paese solo ora. Anche loro devono aver letto di Jolanda sul libro di Wu Ming 2. Annuisco a metà tra l’imbarazzato e lo stupito e le chiedo se per caso si chiama Katia. Scopriamo che in realtà si chiama Elena e che lei e i suoi amici stanno facendo il nostro stesso cammino. Raccontiamo la faccenda della croce, del quaderno di vetta, e anche loro dicono di aver notato il nome Katia. Il mistero si infittisce. Chissà chi è? Chissà chi sei, Katia!

Si siedono accanto al nostro tavolo e si crea una strana atmosfera da amici-non-amici. In parte chiacchieriamo, in parte vogliamo conservare la nostra indipendenza. Ceniamo praticamente insieme, ma senza mai unire davvero i tavoli. Mi viene in mente la frase “convergenze parallele” e penso che in fondo non sia poi così sbagliato: certo, accogliere e incontrare e condividere sono parti fondamentali di un Cammino. Ma ognuno ha le sue motivazioni, i suoi modi. Davanti al quarto bicchiere di vino rosso penso che gran parte del Cammino stia su questo confine: da una parte la disposizione all’incontro e al coinvolgimento, dall'altra la capacità di rimanere fedeli al proprio passo.

La serata finisce con l’Oste che beve diverse grappe insieme a noi perdendosi in aneddoti alcolici su tedeschi ubriachi, camminatori esausti, sconosciuti che ha aiutato e sconosciuti che lo hanno aiutato. Siamo un po’ annebbiati quando torniamo alla Rulot. Forse i segni  biancorossi del Cai ci avrebbero aiutato a ritrovarla più in fretta. E probabilmente camminiamo un po' di traverso, arricchendo di significati il toponimo di questo paesino. Izzo e Piccio scelgono la tenda: non piove ormai più e forse il pericolo di prendersi pidocchi o altre malattie è più forte dentro che fuori. Io e Fillo gettiamo i sacchi a pelo sui due materassi e per oggi la giornata finisce qui.